lunedì 31 ottobre 2011

Il fior di loto e il sesso tra gli Egizi.

Austeri. Proiettati verso l'aldilà. Impegnati nel culto dei morti più che dei vivi. E' stata questa, per secoli, l'immagine che ci è stata tramandata degli Egizi.
Ma recenti studi dell'eros degli Egizi rivelano un lato inedito della loro società.
Di tutt'altro tenore.
A dimostrarlo è un documento eccezionale, conservato al Museo Egizio di Torino.
Un lungo papiro illustrato del XII secolo a.C., da poco esposto al pubblico, probabilmente commissionato da un militare d'alto rango appassionato di "fumetti pornografici".
Il papiro mostra, senza alcun imbarazzo, alcune situazioni erotiche.

Una di queste è l'incontro tra una cortigiana e un contadino in una casa di piacere dell'antico Egitto.
Lei indossa solo una parrucca e un fiore di loto tra i capelli, lui è calvo, in là con gli anni, completamente nudo.
Le loro acrobazie sessuali sono degne del kamasutra e lasciano pensare che il sesso non fosse proprio un tabù: anzi.
Per gli Egizi il sesso era l'atto più naturale del mondo conferma l'egittologo Francesco Tiradritti, dell'istituto universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli.
Era un popolo pragmatico, realista e amante della vita.

Le donne dell'epoca erano libere, potevano gestire eredità e divorziare, avevano garanzie, diritti e un sereno rapporto con l'eros.
La prova migliore?
L'espressione comunemente impiegata per pronunciare inviti d'amore:"Vieni, passiamo un'ora felice".
Da dove nasce allora l'equivoco?
Sono state trovate più tombe che insediamenti - chiarisce Tiradritti - e le rare immagini esplicite di atti sessuali, che si limitano ad alcuni "ostraka" (cocci incisi) e statuette a carattere osceno, non sono state esposte, per pudore, al pubblico dei musei.

Ma il papiro di Torino è più realistico di quanto si pensi.
La donna egizia si preparava agli incontri erotici non spogliandosi, come avviene oggi, ma indossando una parrucca elaborata e cospargendosi i capelli e le parti intime di unguenti e grassi profumati.
Ignorata e censurata per anni, la componente erotica degli Egizi si rivela - secondo i moderni egittologi - un formidabile campo d'indagine.
E riserva continue sorprese.

Come l'ipotesi, recente, secondo cui all'epoca dei faraoni fosse già diffuso lo striptease: la prima immagine sarebbe stata trovata all'interno della tomba di uno scriba vissuto al tempo di Thutmosi IV (1397-1387 a.C.), poi nelle tombe private tebane e persino nel tempio di Luxor.
Secondo gli egittologi, non esisteva alcun tabù verso la nudità e, spesso, le donne erano nude o indossavano abiti trasparenti.
Da Deir el-Medina, dove è stato scoperto il papiro satirico-erotico, provengono "ostraka" con figure sensuali di femmine nude, musiciste distese sul letto con grandi parrucche, ballerine vestite soltanto di tatuaggi.

Ed è il papiro Chester Beatty I a rivelare il tipo erotico femminile degli Egizi: pelle perfetta e luminosa, occhi seducenti quando guarda, labbra dolci quando parla. Collo sottile,corpo splendente,capelli color lapislazzuli.
Altri graffiti pornografici, a Deir el-Bahari, nei pressi della Valle dei Re e a Uadi Hammamat, si sono spinti oltre e rivelano aspetti a luci rosse.
Come la posizione sessuale preferita dagli Egizi: quella da tergo.

Strabiliante, sempre secondo gli egittologi, la portata delle conoscenze degli Egizi in fatto di contraccezione.
Preservativi, spermicidi, diaframmi non erano un segreto neanche all'ombra delle piramidi.
Se a Creta, ai tempi del mitico re Minosse (intorno al 3000 a.C.), ci si proteggeva già dalle malattie veneree indossando vesciche di pesce prima del rapporto sessuale, gli Egizi utilizzavano anche intestini di animali, oliati e profumati e "cappucci" di lino ricamato. Ma non solo.

Il papiro medico Ebers (del 1550 a.C. circa) descrive il primo spermicida della storia associato a un contraccetivo femminile a "barriera": un tampone di lana imbevuto di miele, succo di dattero e petali di acacia. Il segreto? La fermentazione dell'acacia, che producendo acido lattico creava un ambiente sfavorevole alla mobilità degli spermatozoi. Dalle rovine del tempio di Karnak, per molti secoli sede di una famosa scuola medica, è emerso un reperto ancora più prezioso: un oggetto di pietra bianca e tondeggiante, per forma e dimensioni molto simile ai moderni diaframmi.

Per piacere a ogni costo, rivelano gli studi, non si disdegnavano neanche pozioni a base di erbe ritenute stimolanti sessuali.
Valeva soprattutto per la lattuga, la pianta sacra del dio della fertilità Min e la cipolla, talmente "potente" da essere vietata a quei sacerdoti che avevano fatto voto di castità, perché non fossero indotti in tentazione. Effetti largamente attribuiti anche al finocchio, allo zenzero, al melograno e al giglio d'acqua, all'occorrenza anche narcotico.
Mentre le ricette "afrodisiache" più comuni erano a base di vino al coriandolo e ravanelli mischiati al miele.

La sfrenata sensualità degli Egizi si estendeva persino nell'aldilà.
Trascorrere la vita in allegria con donne, danze e musica era considerato, nel mondo egizio, un bisogno talmente importante ed essenziale da non potere essere negato neppure ai morti.
Per questo si depositavano nelle tombe addirittura "concubine del defunto", figurine femminili di terracotta, scambiate erroneamente per bambole, con grandi parrucche, tatuaggi nelle zone sessuali e, spesso, accompagnamento di liuti e tamburi.

L'espressione del migliore augurio possibile: svegliarsi dopo la morte e dimostrarsi ancora fertile.
Un'interpretazione non contraddetta dalla presenza di figurine di bambini.
Per gli Egizi, la maternità era proprio questo: la fase conclusiva dell'amore.
Nel campo dei comportamenti sessuali, nell'antico Egitto erano pochi i divieti, i peccati capitali.
L'idea che si praticassero perversioni come la pedofilia, l'attrazione sessuale per i cadaveri e per gli animali è frutto di interpretazioni errate di storie mitologiche o non sufficientemente dimostrate.

Mentre l'adulterio e il fornicare con persone sposate erano puniti severamente, come dimostrano alcuni documenti giuridici che risalgono al Nuovo Regno (1543-1078 a.C.).
Per le donne (se venivano colte in flagrante; altrimenti potevano scagionarsi da tale accusa giurando la propria innocenza) l'adulterio significava perdere tutti i diritti patrimoniali acquisiti con il matrimonio e pene severe, dai lavori forzati al taglio del naso e delle orecchie.
La loro libertà sessuale terminava lì.

Ma anche l'adulterio maschile era punito: la moglie tradita poteva chiedere il divorzio e ottenere un indennizzo dal marito infedele, il quale - secondo lo storico Diodoro Siculo - rischiava addirittura l'evirazione.
Aggiungo che a quel tempo le femmine si sposavano verso i 13 anni, i maschi intorno ai 15.

L'altro tabù, come risulta dal capitolo 125 del "Libro dei morti", era l'omosessualità.
Ma al riguardo vi erano cattivi esempi anche ai massimi livelli: il faraone Pepi II (VI dinastia) pare avesse una tresca con il suo generale Sisene.

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