giovedì 21 novembre 2013

O stupidi o niente

Trovandomi, giorni fa, in viaggio con Ponti e Lattuada, il discorso cadde sul cinema. La strada da Roma a Torino è lunga, ed era fatale che verso Grosseto si finisse col parlare di cinema, anzi di film stupidi.
«Sembra» dissi «che i film stupidi siano necessari quanto quelli intelligenti, se è vero che il film sulla canzone di Zazà è molto piaciuto al pubblico. Sotto, dunque.»
«Ma i film stupidi» disse Ponti sospirando «non sono facili a farsi come si crede, né esiste una formula sicura.»
«Oppure se esiste» aggiunse Lattuada «la formula del film stupido è certamente più inafferrabile, varia e ingannevole delle altre, come inafferrabile, vario e ingannevole è il gusto del pubblico.
Ossia: l'intelligenza è un traguardo sicuro. Parlo, naturalmente, dell'intelligenza tra virgolette, che varia con la moda. Un film psicanalitico o esistenzialista avrà tutti i caratteri dell'intelligenza, presso un certo pubblico, ma niente ci vieta di pensare che si tratti soltanto di film stupidi ben mascherati.»
Ne convenimmo. Lattuada tirò fuori dal taschino due grossi sigari e me ne offrÌ uno. Per qualche chilometro tacemmo, immersi nella felicità del fumo. Ponti guidava a grande velocità, a occhi socchiusi come se stesse continuamente sul punto di addormentarsi. Invece era sveglio e a un certo punto disse: «Ogni tanto un produttore decide di fare un film per il pubblico, di arricchire se stesso e il pubblico e crede di ottenere lo scopo invocando la stupidità. Ebbene, nella totalità dei casi, se ne pente e riesce a dimostrare una cosa sola: che lo stupido è lui, non il pubblico». Poi aggiunse: «La parola pubblico, come tanti nomi collettivi, si presta fatalmente all'equivoco. Crediamo che si tratti degli altri e invece siamo noi».
Ponti ha prodotto venti film e, tra questi, Vivere in pace, un successo mondiale. Cominciò a occuparsi di cinema con Giacomo l'idealista, che Lattuada diresse. È milanese, un uomo calmo e quasi indolente, che pare stia sempre per addormentarsi, cosa niente affatto piacevole per chi gli sta vicino quando è al volante di una macchina che va a cento miglia per le strade della Maremma. Ma Ponti è invece un grosso gatto che finge di dormire per essere lasciato in pace.
Lattuada è tutto l'opposto, sempre sveglio, direi eccessivamente sveglio. Non gli sfugge nulla. «lo sono più propenso» disse dopo un lungo silenzio «a parlare di semplicità che di stupidità. Più propenso a riconoscere nel film cosiddetto stupido, ma riuscito, un movente felice, necessario, universale.»
«L'età media dello spettatore» aggiunse Ponti «è ormai stabilita in tredici anni. Il torto è però di credere che uno spettatore di tredici anni sia meno esigente di uno spettatore di ventisei o di trentanove.»
«Certo» disse Lattuada «lo spettatore medio di tredici anni è sensibile ad una poesia semplice e risoluta.»
«Un passo indietro» dissi io «e conveniamo almeno che, a parte l'età dello spettatore, la stupidità ha un suo fascino. Si suol dire persino che è riposante. Difatti succede che le persone e i libri più sciocchi sono quelli che ci tentano maggiormente ad un esame diffuso, quasi togliendoci ogni forza di pregiudizio. L'esperienza quotidiana mi porta anzi a credere che la stupidità sia lo stato perfetto, originario dell'uomo, il quale trova buono ogni pretesto per riaccostarsi a quello stato felice. L'intelligenza», aggiunsi «è una sovrapposizione, un deposito successivo: e soltanto verso quel primo stato dello spirito noi tendiamo per gravità o per convenienza».
«La stupidità…» disse Lattuada.
«Un momento» lo interruppe Ponti, improvvisamente sveglio, ma lasciando il volante. «Un momento. Quando al proprietario della... (e qui nominò un diffuso e popolarissimo settimanale), un tale fece notare che il suo periodico era troppo stupido e che sarebbe stato opportuno cambiarne il direttore, questi rispose: "Se vi sentite di farlo più stupido di cosÌ vi nomino direttore da questo momento. Ma vi avverto che non vi riuscirete".»
«Allora, se non sbaglio» dissi «la stupidità ha un limite. Oltre certi confini la mente umana si rifiuta di procedere. Ad un certo punto la Stupidità (forza attiva), diventa Idiozia (forza negativa), e non si vende più. Raggiungere quel limite, senza oltrepassarlo, è anche il segreto del Cinema.»
«Esatto» disse Ponti e chiuse gli occhi. Oltrepassata la Maremma, filavamo ormai verso Livorno.
«Ma quel limite» insisté Lattuada «ha un nome. Non mi stancherò di ripeterlo: Semplicità. E raggiungere la semplicità è non soltanto il segreto del successo, ma anche il segreto dell'arte.»
A questo punto una ruota dell'automobile si afflosciò e tutti scendemmo per cambiarla. Risalimmo e il discorso cadde su altri argomenti e fu quasi senza accorgercene che arrivammo alla torre di Calafuria. Qui un tempo bazzicavano i pirati, oggi c'è un'ottima trattoria. Lattuada volle fermarsi: «Voglio vedere» disse «cosa c'è rimasto del camion».
«Quale camion?» chiesi.
«Il camion che abbiamo fatto cadere sulle rocce, laggiù, per una scena del mio ultimo film.»
Giunti sull'orlo della strada, che è a strapiombo sul mare, invano figgemmo lo sguardo sulla scogliera. Del camion precipitato non si vedeva nemmeno un bullone.
«Forse» dissi «non è proprio questo il punto.»
«No» disse Lattuada «è questo. Il camion andò a finire laggiù, tra quegli scogli. Avevo piazzato tre operatori a riprendere la scena.» Ancora guardò la scogliera battuta dalle onde e poi sorridendo aggiunse: «Ecco, sempre a proposito di semplicità, la buona arte come la buona combinazione chimica non lascia tracce o depositi. Anche il camion è sparito, finita la sua parte.»
Dovetti convenire, e con me anche Ponti: il quale aggiunse che il camion infatti aveva recitato benissimo.



Ennio Flaiano, Bis, 6 aprile 1948